Nel mese di febbraio i mercati azionari hanno registrato una performance altalenante, positivi quelli europei e negativi quelli americani. In special modo i mercati d'oltreoceano, che sempre sono un faro per i mercati finanziari globali, sono risultati nervosi per i dati economici molto contrastanti. Da un lato c'è il calo dell'inflazione, che si è stabilizzata, e quindi la guerra della FED contro i prezzi elevati è tutt'altro che finita, dall'altro un forte rapporto sull'occupazione, che mostra un mercato del lavoro ancora troppo teso.

Anche i reports sugli utili societari del quarto trimestre sono contrastanti, le aziende pubbliche sono ancora alle prese con l'aumento dei costi e persistenti timori di inflazione, mentre quelle ad alto profitto non riescono a smettere di licenziare i lavoratori, che però non hanno difficoltà a trovare nuovi posti di lavoro.

Potrebbe essere molto difficile per la Fed giustificare una sospensione degli aumenti dei tassi di interesse fino a quando il mercato del lavoro non si raffredderà e l'inflazione non riprenderà il suo declino. Maggiore è l'aumento dei tassi, maggiore è la probabilità di ricadute economiche. Questo rischio è stato riflesso negli indici di "probabilità di recessione" compilati dalle banche regionali della Federal Reserve. L'indice di probabilità di recessione della Fed di New York ha raggiunto a febbraio il livello più alto degli ultimi 40 anni.

Il nostro modello, che adotta un atteggiamento ponderato e diversificato, mantiene una parte sostanziale di liquidità nel portafoglio e nel breve termine privilegia l'azionario europeo rispetto a quello americano.